L’epilogo di un’epoca, quella romana, raccontato attraverso l’ottica della morte dell’Imperatore Adriano, una fine avvenuta nel secondo secolo dopo Cristo e che per certi versi si ripete nei grandi drammi del Novecento e fino ai giorni nostri.
Adriano imperatore, secondo la visione di Margherita Yourcenar, non è soltanto un uomo, è il ritratto di ciò che oggi siamo noi e nelle sue parole ritroviamo le radici della nostra storia, radici che si estendono fino ai giorni nostri e che sembrano addirittura annunciare ciò che stiamo vivendo: “….non tutti i nostri libri periranno, altre cupole sorgeranno sulle nostre cupole e, se i Barbari s’impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti ad adottare molti nostri metodi e finiranno per rassomigliarci “:
Queste drammatiche parole pronunciate da un Giorgio Albertazzi ancora sfolgorante, il ricordo della sua esibizione all’interno della Villa Adriana, riecheggiano la grandezza e la preveggenza del lavoro della grande scrittrice che con ques’opera è riuscita a far rivivere l’antico legame tra Roma, la Spagna e la Grecia, territori e patrie di Adriano all’interno dei quali la commedia è ambientata.
Flaubert spiega così il fascino immortale del protagonista “ Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento, unico, in cui è esistito solo l’uomo “: ebbene, questo momento lo abbiamo rivissuto al teatro Ghione nella esibizione del grande, grandissimo Albertazzi che riesce in maniera magistrale ad esaltare la storia e la vita del grande imperatore romano del quale continuamente esegue una continua disamina introspettiva riuscendo ad esprimere al meglio i desiderata della Yourcenar che intendeva evidenziare il totale e naturale rapporto con la cultura, con la storia, con la filosofia e, in genere, con la vita degli uomini e della società.
Grande rappresentazione supportata dalle musiche e dalle esibizioni canore della brava Evelina Meghnagi e dalle percussioni di Armando Sciommeri che la regia di un altro grande, Maurizio Scaparro, esalta e continua a farci rivivere epoche, ambientazioni, fatti già avvenuti ma magicamente e tristemente ancora dinanzi ai nostri occhi, fatti che aiutano a riflettere anche sul significato della morte e su come affrontarla: ad occhi aperti, dice Albertazzi – Adriano.
Eppure, al termine della rappresentazione, aver ascoltato Giorgio Albertazzi, che con questo suo omaggio al grande imperatore è divenuto egli stesso un imperatore ( del teatro italiano ), ci ha trascinato all’interno di uno straordinario mistero: l’uomo Adriano è veramente ciò che oggi siamo noi, e ciò ci induce anche a riflettere, forse anche a sperare………………..
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