“Ma ti pagano?”: questa è la domanda che alcuni cinicamente e sarcasticamente mi fanno. La poesia, la scrittura in quest’Italia in cui pochissimi acquistano libri e poi li leggono è un atto gratuito. Non può essere altrimenti. Non può che essere volontariato culturale, intellettuale. È frutto dell’ingegno messo gratuitamente a servizio degli altri, magari anche di pochi appassionati e cultori della materia. Non può essere che un dono, una testimonianza, a volte un lascito che pochissimi raccoglieranno. Ancora una volta: “ma ti pagano?”. In questo mondo pragmatico e utilitarista tutto deve essere quantificabile, monetizzabile. Non ci sono mezze misure, non ci sono alternative. Se ti pagano, se hai un posto fisso, se hai un contratto a tempo indeterminato, sei un giusto, uno valido. Poco importa che ci sono e ci sono stati tanti giornalisti lautamente pagati che non valgono e non valevano niente rispetto ad Alda Merini e Valentino Zeichen che fecero la fame per tutta la vita. Ma gran parte delle persone poi che ne sa di Alda Merini, di Valentino Zeichen e di altri poeti, di altre poetesse che vissero in ristrettezze economiche? E allora stimate, rispettate incondizionatamente il giornalista raccomandato con la tessera di partito, il bestsellerista scaltro che scrive banalità! Agli umanisti validi e seri ridetegli dietro! No. Non c’è via d’uscita, siamo in un cul de sac. “Ma ti pagano?”: questa è la domanda delle domande. Secondo la mentalità comune chi è veramente valido riesce a trasformare la sua passione in un lavoro retribuito. Che ne sanno della poesia che non dà da mangiare, se non a dei falsi poeti influencer che dispensano ovvietà, sentimentalismi, effusioni di quart’ordine? Ma ti pagano? Vaglielo a spiegare che non è la stirpe che nobilita l’uomo, ma che è l’uomo che nobilita la stirpe e la stessa frase si potrebbe formulare sostituendo la parola “stirpe” con la parola “categoria”. Vaglielo a spiegare che ci sono tanti poeti, veri, aspiranti, sedicenti che scrivono meglio di tanti giornalisti. Vaglielo a spiegare che l’essere pagati non è sinonimo di qualità. Vaglielo a spiegare che i post di Nazione indiana, La poesia e lo spirito, Le parole le cose sono spesso qualitativamente superiori a tanti articoli di terza pagina dei quotidiani cartacei. Vaglielo a spiegare che talvolta persino i commenti di alcuni litblog sono più stimolanti culturalmente di tanti articoli culturali cartacei. E in questi siti nessuno è pagato. Vaglielo a spiegare che le testate giornalistiche online spesso pagano poco o nulla perché campano con la pubblicità e le donazioni Paypal. Ma queste cose non vengono messe in conto. Tante persone non sanno valutare la qualità di uno scritto e allora si basano solo ed esclusivamente se uno scrive per un quotidiano o meno, se uno ha venduto molte copie o meno. Questo è il metro di giudizio a cui nessuno scampa. La poesia è prima di tutto amore disinteressato per le cose, per la natura, per il mondo. E a volte per amare il mondo bisogna essergli contro, denunciare le sue mistificazioni, le sue brutture, le sue ingiustizie, le sue storture. Ma ti pagano? Prima leggete ciò che scriviamo, poi tirate le somme, se davvero sapete fare i conti e valutare obiettivamente la qualità della scrittura, delle parole, della poesia. Altrimenti non fate domande cretine. Risparmiatevele.